Tom Ford

Tom Ford

American originator Tom Ford moved on from Parsons The New School for Design with a degree in engineering, yet soon understood his adoration for mold while interning at Chloe’s press office. He has gone ahead to work for Perry Ellis, totally change the Gucci mark, and get to be distinctly Creative Director for Yves Saint Laurent. In 2005 he declared the formation of the TOM FORD brand and its first leader store opened two years after the fact on Madison Avenue in NYC

Design senza designer

Il nuovo libro di Chiara Alessi, in uscita per Laterza, racconta cos’è il design italiano e delinea un suo possibile futuro dando voce a chi il made in Italy lo costruisce ogni giorno. Designer esclusi.

89674_Bocchiaro 0609.qxpC’è una verità – spesso anche profonda – dietro i luoghi comuni. A volte, invece, c’è un preconcetto: una bugia, un’incomprensione che la cultura popolare ha trasformato in un dato acquisito. Prenderli sul serio in un libro, quindi, affrontandoli non come “frasi fatte” ma come pillole di cultura popolare capaci di influenzare il pensiero corrente, analizzandoli per coglierne significato, ragion d’essere e veridicità, richiede quindi non solo coraggio (visto che ci sarà sempre qualcuno che, limitandosi alla  una lettura superficiale, penserà che chi azzarda una tale operazione stia subendo il luogo comune invece di cavalcarlo) ma anche un’ottima dose di competenza allargata.

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Coraggioso e competente sono quindi due aggettivi adatti per descrivere il nuovo lavoro di Chiara Alessi – Design Senza Designer, ed Laterza –, un volumetto dall’agile piglio giornalistico che, partendo proprio dai luoghi comuni più diffusi relativi al design, si propone come un viaggio esplorativo nel mondo del progetto escludendo però coloro che da sempre sono considerati i deus ex machina della creazione, cioè i designer.

È una prima scelta importante, che dà un immediato ruolo “critico” al libro: non mettendo in causa i progettisti, infatti, Alessi riesce a guadagnarsi lo spazio e il respiro intellettuale per raccontare a 360 gradi nel mondo della produzione degli oggetti mettendo in scena personaggi chiave finora ignorati.

È, questo, un mondo sconosciuto al grande pubblico, un universo indubbiamente affascinante, dove la passione per la creazione si mescola con il business, la genialità tecnica, l’acume nella comprensione del mercato. E in cui il design, inteso come creazione, diventa un elemento fondamentale di un ingranaggio economico, sociale, culturale, acquisendo così una dignità che va ben oltre quella che emerge quando se ne parla indirizzandosi principalmente (e spesso solo) ai designer.

La seconda scelta chiave di Chiara Alessi – cui abbiamo già accennato sopra – è quella di aver fatto partire questo suo viaggio confrontandosi con competenza e curiosità intellettuale genuina con i luoghi comuni che affollano il mondo della produzione industriale. Affermazioni come «Tutti sono designer», «il made in Italy salverà l’Italia», «globalizzazione e high tech sono nemici della nostra industria», «la manifattura ha bisogno di aziende grandi, non di nani», «il futuro è artigiano», «l’e-commerce è il nemico del retail», «la critica non esiste più»: le frasi fatte che ormai vengono spesso utilizzate come assiomi nel libro di Alessi vengono messe sotto la lente d’ingrandimento, discusse con personaggi sconosciuti ai più ma che – muovendosi dietro le quinte – hanno ruoli chiave nell’industrial manifatturiera italiana, utilizzate come punti di partenza per delineare possibili futuri.

Ed è proprio questo il grande merito del libro. Che oltre ad aver messo in evidenza il ruolo del design in un palcoscenico più ampio e ed aver dato una dignità reale – e una voce narrante – a tutti coloro che nel mondo del progetto vivono e lavorano, tenta di tracciare un futuro possibile per il sistema nella sua totalità, un paesaggio aperto, fluido e dinamico e senza risposte certe (come necessariamente deve essere quando si parla di contemporaneità) ma comunque proposto a partire da una fotografia veritiera del presente, finalmente svincolata da preconcetti e frasi fatte.

Da Design Senza Designer emergono quindi messaggi come la necessità di «digitalizzare il made in Italy per muoversi agilmente in un mercato online che sta passando dalla massa alle nicchie, definite non dalle geografie ma dagli interessi»; i vantaggi – quantificabili in fatturati e non solo in immagine – del produrre «in territorio italiano» per creare quei fattori «differenzianti» che avranno un peso sempre maggiore sul mercato; il bisogno di creare nuove piattaforme tra le varie piccole eccellenze locali per definire «distretti» allargati, non basati sulla geografia quanto sulla comunione di idee e aspirazioni; la grande sfida dell’artigianato, tutto sommato ancora strettamente legato al saper fare manuale, nel proporsi come «futuro» dell’industria sempre più digitalizzata; le opportunità che l’e-commerce offre per il retail tradizionale e le diverse forme in cui quest’ultimo può organizzarsi per sopravvivere e crescere.

In Dopo gli Anni Zero (ed Laterza, 2014), Chiara Alessi aveva voluto dimostrare l’esistenza di una nuova generazione italiana di designer. Ma malgrado i suoi meriti (di cui abbiamo scritto proprio su questo blog), il libro non si svincolava dall’ammiccare al “condominio” dei progettisti, destinatari principali delle accurate analisi proposte dalla Alessi. In Design Senza Designer, invece, la giornalista-critica ignora la tentazione di “parlarsi addosso” e cerca un pubblico allargato, diverso e proprio per questo molto più difficile da interessare e catturare (anzi direi l’opposto vista la scarsissima attenzione che il progetto in quanto cultura ha sia on che off line). Un’altra ragione per considerare Design Senza Designer un’opera coraggiosa e, come tale, in un panorama spesso afflitto dal politically correct a oltranza, decisamente degna del tempo che la sua lettura richiede.

http://designlarge-d.blogautore.repubblica.it/2016/01/13/design-italiano-cose-designer-alessi-laterza/?refresh_ce

Fashion insurance: La moda non e un codice da vinci

Se a livello internazionale quasi tutti i settori dell’economia sono stati colpiti senza pietà dalla crisi, lo stesso non si può dire del mercato dei luxury goods: i beni di lusso, infatti, sembrano non aver quasi risentito della recessione, costituendosi in questo modo come uno dei settori trainanti dell’economia europea.

Uno studio di S&P (Standard and Poor’s Corporation) pubblicato alla fine del 2012, “Il lustro del settore dei beni di lusso si attenuerà ma non scomparirà nel 2013”, ha rilevato non solo che il 2012 si è chiuso con un bilancio positivo per quasi tutti i marchi di lusso, ma che ci sono ulteriori prospettive di crescita tra il 6% e l’8 % anche per il 2013 (e tale tendenza è prevista fino al 2015).

Il trend è dovuto a diversi fattori: innanzitutto, nonostante la crisi, la maggior parte degli acquirenti che prima della crisi consumava beni di lusso ha mantenuto il proprio potere d’acquisto; inoltre, fattore ancora più importante (soprattutto in relazione alle vendite nel mercato internazionale), i Paesi emergenti che stanno potenziando sempre di più la propria economia stanno mostrando un interesse crescente verso il comparto dei luxury goods, dove ancora primeggia l’eccellenza del made in Italy. La metà delle vendite totali del settore dei beni di lusso, infatti, proviene oggi dai mercati come la Cina, il Brasile, la Russia ed il Medio Oriente, le cui popolazioni stanno assistendo all’aumento dei loro redditi disponibili: basti pensare che si prevede che la Cina possa diventare, nei prossimi 5 anni, il secondo più grande mercato dei beni di lusso, alle spalle degli Stati Uniti e davanti al Giappone.

L’apparente invulnerabilità del settore all’attuale crisi economica si manifesta anche in un maggiore e continuo investimento delle aziende, che sono così in grado di offrire molteplici opportunità di lavoro nel mercato dei luxury goods: diverse le figure ricercate, dal luxury brand manager (un professionista della gestione dei marchi di lusso) agli addetti alle vendite nei negozi, dai sarti ai modellisti e ai tintori. Mestieri, questi ultimi, che in questi anni sono quasi scomparsi dal mercato italiano e la cui penuria ha fatto sì che aumentasse la domanda. Soprattutto in questi casi, poi, le competenze necessarie riguardano un sapere essenzialmente pratico che quindi non necessariamente è acquisibile tramite il conseguimento di particolari titoli di studio: sono numerosi, infatti, i corsi professionali dedicati alla formazione di tali figure.

Requisito essenziale, ovviamente, una buona padronanza della lingua inglese.

 

Amalia Scherillo http://www.brainatwork.it